giovedì 30 agosto 2012

Com'erano giovani le mie betulle



Qualche giorno fa per un temporale notturno con forti raffiche di vento è caduta una betulla nel nostro giardino di Loveno, sul lago di Como. 


Arcobaleni dopo un temporale a Loveno. Sullo sfondo le Grigne e Bellagio

Non è la prima volta che capita. Cosa strana, la pianta è caduta un paio di giorni prima che Beatrice, la perturbazione dal nome angelico che doveva rinfrescare l’aria, ma ha fatto disastri in molte località, sradicasse centinaia di piante  nel Parco di Villa Taranto a Pallanza.
La nostra betulla era una “signora” sulla sessantina  e, insieme ad altre, era stata piantata da mia madre negli anni cinquanta del Novecento, poco dopo la costruzione della casa.
Per il disegno del giardino mia madre aveva chiesto dei consigli a Ignazio Vigoni, un amico che risiedeva nella dimora di famiglia nel cuore del paese, poi lasciata in eredità al Governo tedesco e divenuta la sede del Centro italo-tedesco di Villa Vigoni.

Mia madre Laura sul terrazzo di casa in una foto degli anni trenta del Novecento


Dandy, scrittore, colto studioso dell’arte e della flora locale nonché paesaggista, Vigoni per il viale del giardino aveva consigliato dei bellissimi larici e delle betulle. Mentre nel grande prato che si affaccia sul lago davanti alla casa i protagonisti sono cinque superbi Pinus pinea. Un tempo c’erano anche cinque cipressi, ora ne è rimasto uno solo. Ma altri cinque li ho piantati io stessa nel settembre del 2003 disegnando, in un campo dietro al giardino, l’uliveto dedicato alle mie nipotine nell’anno della nascita della più piccola.

Un approccio eclettico, dunque, quello di Vigoni, con uno sguardo volto alle Alpi, vicinissime, e un altro volto a mezzogiorno. Il clima lacustre, del resto, fa sì che sui nostri laghi crescano insieme specie nordiche e mediterranee, oltre alle numerose presenze esotiche venute da lontano. Una antologia vegetale fascinosa e interessante, purché nei giardini ci sia  spazio e non si cada nel kitsch.

Della betulla caduta resta una foto che mi è cara. 

Eccomi, sul finire degli anni cinquanta, nella foto scattata da mio padre, davanti alle piccole betulle
La si può vedere anche nel libro Il mio pensiero a te, 1910 - 2010 (Edizioni dell’Epilobio, Blurb), che ho inventato insieme a mia figlia Paola per i cent’anni di mia madre.

In copertina: Laura Isnenghi Ponti sorridente in una bella foto degli anni trenta del Novecento

Quella foto in bianco e nero davanti alla betulla caduta, con le sue “sorelline” accanto, me la fece sul finire degli anni cinquanta mio padre. Il mio amato padre di cui ieri, il 29 agosto, ricorreva il quindicesimo anniversario della scomparsa.  Ricordi e affetti, vita e morte si rincorrono anche nella storia dei giardini. 


Le betulle di Ca' Gianin a Trivero nella foto di Karl-Dietrich Bühler

Nel tempo quel gruppetto di piccoli alberi dalla corteccia    chiara, sericea e lucente era cresciuto, 
diventando molto simile
a quello che potete vedere
qui accanto, situato
a Trivero,
nel biellese, a Ca’ Gianin, 
da Pietro Porcinai, 
il famoso architetto
del paesaggio,
coetaneo di mia madre. 



Ma a Loveno nel corso di sessant’anni altre piante bellissime, fra cui un Cornus kousa chinensis portato, ancora virgulto, in valigia dall’Inghilterra da mia madre e una Nyssa sylvatica erano state messe a dimora nelle vicinanze ed erano poi cresciute a incorniciare le betulle. Che, ora, sono diventate così fragili da temere un colpo di vento.                                    

Le piante crescono come i bambini. La mia nipotina nel maggio del 2004 con le nonne davanti al Cornus in fiore
                                                                  
Ma vorrei raccontarvi di più su questa pianta così poetica.
Chiamata “ulivo del Nord” per la sua grande diffusione alle latitudini più settentrionali, Betula alba è, per i russi,  un vero e proprio «pozzo del popolo».
Gli usi della candida corteccia sono tanti: dall’estrazione di un olio aromatico per la concia del famoso «cuoio di Russia», alla copertura dei tetti delle case scandinave, sino alla preparazione di torce intrecciate per illuminare di notte le sconfinate distese della steppa. Con la linfa della pianta, messa a fermentare nelle botti con zucchero, uva secca e cannella, nei paesi del nord si distilla anche il «vino di betulla», bevanda alcolica e spumeggiante che ricorda vagamente lo champagne.

In Italia allo stato spontaneo la betulla è diffusa nei boschi alpini e prealpini e in alcune valli dell’Appennino parmense.
Insieme al pino silvestre e all’ontano bianco disegna raggruppamenti boschivi abbastanza estesi. Nelle radure formatesi a seguito di incendi o disboscamenti tende a colonizzare le aree degradate grazie ai semi alati che si lasciano docilmente trasportare dal vento. Allo stesso modo si comporta come pianta pioniera in alcune torbiere basse che emergono con il progressivo interramento dei piccoli laghi prealpini.


Dettagli delle foglie, degli amenti e dei frutti di Betula alba in una tavola botanica
 
Dolcissime a primavera sono le aeree betulle che si possono vedere nei boschi di Velate, vicino a Varese, dove dipingeva Guttuso, o quelle che in autunno accompagnano gli escursionisti sull’alta via del Lario.
Ma la più bella, incredibile a dirsi, si trova a Milano. Piegata dal vento, distende i suoi rami annosi verso una sorgente luminosa che riflette le luci del tramonto. Nel biancore della sua corteccia e nella figura della madre con il bambino si esprime tutta la simbologia della femminilità che caratterizza nel nord Europa il mito di questa pianta. È la betulla de «L’angelo della vita» di Giovanni Segantini, dipinta nel 1894 dal pittore nativo di Arco sullo sfondo del lago di Sils Maria in Engadina.


“L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, del 1894, olio su tela di 276 x 212 cm, alla Galleria d’arte moderna di Milano


Autoritratto di Segantini, 1895, carboncino, ritocchi in gessetto bianco e polvere d’oro, dal catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e simbolo, 1884-1899


Se vi capita di passarle vicino, andate a vederla alla Galleria d’Arte Moderna di via Palestro. Ma se volete ammirarne un’altra assai simile, solo molto più piccola, volate a Budapest. Lì, nella città adagiata fra le rive del Danubio, al Museum of Fine Arts, c’è una seconda preziosa versione del dipinto, incastonato come un’icona in una cornice dorata che ricorda, come spiega Annie-Paule Quinsac, un reliquario. 
Quasi che Segantini, nella decorazione fitta e nervosa scolpita sui bordi, volesse esaltare l’intreccio delle radici e il palpito stesso della vita.

“L’angelo della vita” di Segantini, 1894-1895, olio su carta di 59,5 x 48 cm,  Museum of Fine Arts, Budapest 



Note e precisazioni per le immagini

La foto del prato di Loveno con i due arcobaleni dopo un temporale è di Marta Isnenghi.

La foto di Laura Isnenghi Ponti sul terrazzo di casa, della fine degli anni trenta del Novecento, è di Enrico Isnenghi.

La foto di Marta Isnenghi, a circa dieci anni, davanti alle piccole betulle, è di Enrico Isnenghi.

La foto de “Il mio pensiero a te, 1910 - 2010”, che appare sulla copertina del libro scritto da Marta Isnenghi e Paola Vozza, Edizioni dell’Epilobio, Blurb, in occasione dei cento anni di Laura Isnenghi Ponti, è di Enrico Isnenghi.

La foto delle betulle a Ca’ Gianin a Trivero è di Karl-Dietrich Bühler ed è tratta dal libro di Milena Matteini “Pietro Porcinai, architetto del giardino e del paesaggio”, Electa.

La foto del Cornus kousa chinensis e della Nyssa sylvatica, con la bimba piccola fra le nonne, è di Paola Vozza.

L’immagine delle foglie, degli amenti e dei frutti di Betula alba è tratta da Google immagini, sito web quoki.com.

La foto de “L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, del 1894, olio su tela di 276 x 212 cm, custodito presso la Galleria d’arte moderna di Milano, è tratta da internet, sito frammentiarte.it

L’immagine dell’“Autoritratto” di Segantini, 1895, carboncino, ritocchi in gessetto bianco e polvere d’oro, è tratta dal catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e simbolo, 1884-1899”, a cura di Annie-Paule Quinsac, Skira.

L’immagine de “L’angelo della vita” di Giovanni Segantini, 1894-1895, olio su carta di 59,5 x 48 cm, che si trova al Museum of Fine Arts di Budapest, è tratta dal catalogo della mostra “Giovanni Segantini, Luce e simbolo, 1884-1899”, a cura di Annie-Paule Quinsac, Skira.


Un altro articolo sulla betulla, intitolato “Elisir afrodisiaci e vino spumeggiante dal «pozzo del popolo»” è stato scritto da Marta Isnenghi e pubblicato su Milano Lombardia, inserto de l’Unità, il 7 febbraio 1986.





venerdì 24 agosto 2012

Dar da bere agli assetati



In un’estate caliente come questa non dimentichiamo i pennuti e tutti gli altri animali che hanno sete.


Le colombine, splendido mosaico ravennate del Mausoleo di Galla Placidia

La scelta più gradevole per loro, ma anche per noi, la fece molti anni orsono mio padre Enrico nel nostro giardino di Loveno.

Proprio lì, nella sua stanzetta piena di disegni, di libri di montagna e di foto di famiglia, il 29 agosto di quindici anni fa, papà ci lasciava. Aveva appena compiuto 94 anni, dopo una vita lunga, buona e generosa. Una perdita irreparabile, perché più passa il tempo, più sono consapevole che della sua lontananza non riuscirò mai a consolarmi. Con queste poche righe vorrei ricordarlo agli amici, alle mie figlie, ai nipoti e alle persone che gli hanno voluto bene.


Enrico Isnenghi, mio padre, nel giardino di Loveno, sul lago di Como

Ormai anziano, ma ancora ricco di curiosità e di affetti, papà si divertiva in campagna a sfamare gli scoiattoli con ghiotti pranzetti di noci e nocciole. Attratte da queste leccornie, intere famigliole dei simpatici roditori facevano divertenti scorribande sul prato per sparire, con il tesoro appena conquistato, fra i rami frondosi delle querce e dei pini marittimi. E il giorno dopo tornavano, puntuali, allalba e sul far della sera.


Magnifico scoiattolo con la sua codona

Per gli uccellini invece papà riempiva di semi prelibati le sue poetiche mangiatoie,  gentile abitudine ereditata da mia figlia Paolina. 


Pettirossi affamati e confidenti, in un bel disegno di Eileen Soper

In un’estate caliente come questa papà trovò da un rigattiere di Menaggio una bella pietra cava, fece scavare un buco nel giardino non lontano dalla casa e ve la posò.


Pietra cava posata da mio padre Enrico vicino a casa per dar da bere agli uccelli

L’acqua, come potete vedere nella foto e nell’acquerello della fontanina ritratta di recente da mia nipote Chiara, scende goccia a goccia. Da una ventina d’anni gli uccelli vengono a bere, fanno il bagno e sguazzano che è un piacere. 


La fonte, acquerello di Chiara Levy, luglio 2012


Mio padre ha fatto a quegli uccelletti e a noi un dono straordinario. Perché, in quel tourbillon di tuffi e svolazzi sembra di stare nel paradiso terrestre. E mia madre, ancora adesso che ha 101 anni si diverte a osservare tranquilla da casa, senza disturbarli, merli, passeri, cince e pettirossi. Un’attrazione irresistibile, naturalmente, anche per i bambini e per i gatti, che i pennuti fan scappare.


                                                                      
Due uccelli che si abbeverano a una fonte, Assisi, Cattedrale di San Rufino, XII secolo
                                                                 


Note e precisazioni per le foto e per le immagini


Le colombe che si abbeverano è una scansione tratta da una cartolina del Mausoleo di Galla Placidia (VI secolo) a Ravenna, Edizioni Fratelli Leonardi, Ravenna.

La foto di Enrico Isnenghi, a novant’anni, nel  giardino di Loveno, è di Marta Isnenghi.

La foto dello scoiattolo è tratta da internet,  “Foto scoiattoli gratis per fondi desktop”, windoweb.it.

Il disegno dei pettirossi è tratto dal libro Wildings, The Secret Garden of Eileen Soper, di Duff Hart-Davis.

La foto della pietra cava per dar l’acqua agli uccellini è di Marta Isnenghi.

L’illustrazione intitolata La fonte è un acquerello di Chiara Levy, del luglio 2012.

La lunetta della Cattedrale di San Rufino ad Assisi è tratta da Wikipedia. Si trova sopra il portale destro e simboleggia le anime dei cristiani che si abbeverano alla Grazia divina.






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mercoledì 22 agosto 2012

Dell'innaffiare il giardino


“Oh bello innaffiare il giardino, per far coraggio al verde!
Dar acqua agli alberi assetati! Dài più che basti e
non dimenticare i cespugli delle siepi, perfino
quelli che non dàn frutto, quelli esausti
e avari. E non perdermi di vista,
in mezzo ai fiori, le male erbe, che hanno
sete anche loro....”

Sono i versi di una delicata poesia di Bertolt Brecht, intitolata “Dell’innaffiare il giardino”. Perfetta metafora per questa estate che tormenta tutti, uomini,  vegetali e animali con ondate di caldo africano.

Annaffiatoio con la coda, acquerello di Erv
Mi sono tornati in mente ieri mattina                  
mentre cercavo di salvare dalla
calura le piante del giardino. 
E pensavo a quel bell’innaffiatoio, 
con tanto di coda e faccina,
disegnato da Emma, la mia nipotina, 
su uno dei suoi sacchetti, 
di cui credo d’avervi già parlato
qualche giorno fa 
ne l’Albero dai fiori turchini. 
Eccolo dunque, 
e osservate come la pittrice-poetessa
ha fatto “girare” un fiore
fin sul retro dell’acquerello
su carta da spolvero.


Spunta un fiore ancora in boccio sul retro del sacchetto illustrato






















Per i giardini domestici più che il poeta, che invita a bagnare con generosità, dobbiamo però ascoltare il giardiniere. Che raccomanda la misura.

Gustave Caillebotte, I giardinieri, 1875-1890

Bagnare sembra facile. Invece, una delle prime cause di morìa di arbusti e fiori dipende dal dosaggio. Poca acqua, e le piante inaridite iniziano a perdere le foglie e seccano. Troppa acqua, e le piante muoiono per asfissìa: la quantità di liquido prevale difatti sull’ossigeno contenuto nel terreno, impedendo alle radici di respirare.

Certo oggi esistono tanti prodotti per l’irrigazione automatica, con centraline dove si programmano tempi e modi di bagnatura. Sono assolutamente indispensabili nei parchi di grandi dimensioni.
Ma per i giardini di casa c’è anche chi, invece di attrezzarsi con il famoso “impiantino”, preferisce far da sé. Io appartengo a questo genere di persone. Anche perché, zanzare a parte, innaffiare mi piace, è un’attività che mi rilassa come uno scacciapensieri.
In caso di assenze prolungate, cerco qualche persona gentile e amante dei fiori, che mi sostituisca.

La prima regola dunque è l’equilibrio, in modo che il terreno sia umido senza essere fradicio. Per questo è opportuno che la terra asciughi, fra un’annaffiatura e l’altra.

La seconda regola riguarda il tempo che si dedica all’operazione.
Se per il prato ci vuole una girandola, da aprire per una ventina di minuti al mattino presto o alla sera, per i bordi misti esistono tubi forati da attaccare a un rubinetto che si schiude all’alba o al tramonto per una mezz’oretta.

Le piante più delicate sono quelle in vaso, dove il terriccio asciuga o si compatta rapidamente. A volte, se stanno sotto un porticato, non prendono neppure la rugiada.  Si possono bagnare con la canna dell’acqua, dotandola di uno spruzzatore che consente un getto leggero e mirato. Come una carezza, la leggerezza è sempre l’arma migliore.
Ma fate attenzione, bagnate soprattutto la terra, non le foglie o i fiori che possono danneggiarsi quando c’è molto caldo e sfiorire prima del tempo.


Il Piccolo Principe nutre con amore la sua rosa

Lo sapeva bene il Piccolo Principe dalla sciarpina gialla, malinconico eroe di Antoine de Saint-Exupéry, che «...tutto confuso, andò a cercare un innaffiatoio d’acqua e servì al fiore la sua colazione». 
E lo sa bene anche la figliolina di Karin e Carl Larsson, il famoso pittore svedese, che qui potete vedere allopera mentre bagna i fiori di casa nel delizioso acquerello dipinto dal padre.




Carl Larsson, La Finestra fiorita, acquerello, 1894-1896

Se anche voi avete molti vasi, cercate di bagnarli con un annaffiatoio a collo lungo, che permette di inumidire il terriccio dove si vuole senza produrre inutili voragini: in ogni caso è indispensabile farlo piano, con lentezza. Altrimenti l’acqua se ne esce subito dai fori di drenaggio senza avere il tempo di inumidire le radici. Ma c’è anche il rischio opposto. Le stesse radici possono subire danni irreversibili e marcire se l’acqua ristagna troppo. È quindi utile mettere nei sottovasi dei sassolini d’argilla espansa per assorbire l’eccesso d’acqua, che viene poi lentamente ceduta alle piante sotto forma di umidità.

L’acqua migliore per le piante è quella a temperatura ambiente. L’acqua migliore, ancora, dovrebbe essere dolce, cioè poco calcarea. In particolare per le acidofile come le gardenie, le camelie, i rododendri, le azalee, le idrangee o il profumato Stephanotis, basta un po’ di torba in un bacile durante la notte per neutralizzare il calcare presente nell’acqua.

Camelia japonica 'Dian Hartman' in una tavola di Paul Jones


Le piante, come noi, respirano e traspirano. Per questo le loro foglie, in particolare in casa, devono essere pulite. Qualche vaporizzazione alla sera è benefica per la maggior parte delle specie. Quelle a foglie vellutate, come le violette africane, che non amano l’acqua, possono essere spolverate con una spazzolina da capelli per neonati.

E in inverno, domanderà qualcuno, che si deve fare? Gli alberi e gli arbusti en plein air vanno a riposo e non hanno bisogno d’annaffiature. Però nelle giornate più miti non dimentichiamo di dare un po’ d’acqua, almeno una volta a settimana, alle piante in vaso. Agrumi compresi, soprattutto se, protetti dal gelo con candidi cappucci, rischiano di essere dimenticati.
Bagnare le piante è dunque un’arte?
A voi la risposta.









Note e precisazioni sulle illustrazioni e le foto

“Annaffiatoio con la coda” è un acquerello double-face di Emma, la mia nipotina, che poeticamente ha dipinto anche il retro del sacchetto, facendovi spuntare un fiore ancora in boccio.

La foto del dipinto di Gustave Caillebotte, intitolato I Giardinieri (1875 - 1890, collezione privata) è tratta da Giardini, orti e labirinti di Lucia Impelluso, collana Dizionari dell’Arte, Electa.

Il disegno del Piccolo Principe è tratto dal libro Il Piccolo Principe, scritto e illustrato da Antoine de Saint-Exupéry ed edito da Bompiani, XXVI edizione, nel 1974.

La Finestra fiorita, di Carl Larsson, è  un acquerello dell’album «La Nostra Casa», 1894-1896 ed è tratto da Carl Larsson acquerelli, Bibliothèque de l’Image, 2001.

La Camelia japonica ‘Dian Hartman’, tavola illustrata da Paul Jones nel 1958, è tratta da The Camellia, volume II, The Leslie Urquhart Press, Sharpthorne, Sussex, 1960.